Questa è la filosofia del nostro collettivo, e penso, di tutti i gruppi makers nel mondo. Ad un certo punto il duo elettronico Yellows, parte del cuore di AHL, si chiede se il gruppo voglia mettere in ballo un po’ di know-how, per costruire tutti insieme un Matrix Mixer per il loro prossimo live-set. La risposta è stata più che ovvia e ci siamo messi subito all’opera.
Ma di cosa parliamo? Parliamo di un mixer concepito non per miscelare un dato numero di sorgenti ed inviarle su due canali stereo, ma per inviarle ad un numero di uscite pari a quello delle entrate. Non esiste equalizzazione o gain, (il mixer è infatti passivo), ma un sistema che consente la miscelazione degli input all’interno di una matrice che, inframmezzata da resistenze variabili, può mixare in maniera complessa le sorgenti. Una delle possibilità espressive più interessanti di questo strumento, consiste nel far rientrare negli in del mixer i suoni emessi dagli out, generando in questo modo dei loop. Altro aspetto notevole si riscontra nei fenomeni di cross-talk, ovvero l’interferenza elettromagnetica che si genera tra nodi vicini nella matrice, e che produce dei risultati spesso imprevedibili.
Il Matrix Mixer è uno strumento di lontana memoria che affonda le sue radici nella sperimentazione sonora. Già nel 1968 il nostro amato John Cage si fece costruire da Lowell Cross un mixer a matrice 8×8 controllato da LDR (Light Dependent Resistor), assemblato su di una scacchiera. Lo scopo era quello di generare musica aleatoria per la sua performance Reunion, durante la quale egli gioca una partita di scacchi con Marcel Duchamp, miscelando materiale sonoro prodotto da un nugolo di sperimentatori sonori del tempo. Oggi noi, figli di quell’epoca che non c’è più, abbiamo assimilato l’attitudine per questo genere di cose, quell’atteggiamento alla ricerca sonora ed estetica, il gusto della sperimentazione. Aleatorietà, suoni incontrollati, feedback-loop, texture imprevedibili diventano parte del nostro arsenale di suoni e vocabolario stilistico.
Cominciamo la discussione del progetto con Andrea, che ha già alle spalle la costruzione di molti di questi device, nella versione 3×3 controllata da potenziometri. Si finisce fin da subito per immaginare implementazioni all’idea di base, modifiche, alterazioni e incursioni di elettronica varia. Ma questo però è un altro capitolo! Ci siamo concentrati, per adesso, su una versione con una matrice 4×4 di potenziometri: vero quadrato magico di suoni che possono uscire e rientrare in maniera ossessivo compulsiva nel mixer, in un routing che celebra ogni volta la no-input music suonata negli anni d’oro delle sperimentazione su normalissimi mixer, sfruttando tutte le uscite ed entrate disponibili, fino ad arrivare ai nostri giorni con esponenti di rilievo del Japanoise (Noise giapponese) come Toshimaru Nakamura, che fanno di questa tecnica uno strumento espressivo ormai consolidato.
Ma veniamo a noi. Ci incontriamo un lunedì pomeriggio, passiamo dal nostro rivenditore di fiducia per procurarci i componenti che servono e finalmente ci ritroviamo al FabLab. Lo schema lo conosciamo bene e non intendiamo modificarlo. Si comincia quindi con la progettazione dei case. Prendiamo un po’ di misure, che il nostro buon Paso trasforma via cad in scatole dentellate, da tagliare laser sul nostro classico plexiglass di recupero.
Realizzeremo un paio di MM4x4 di due dimensioni diverse, uno 15x15x4.5cm e l’altro 20x20x4.5cm. Finito il taglio si comincia l’assemblaggio dell’elettronica: passiamo le successive 4/5 ore a tagliare e saldare i piccoli cavetti colorati che collegano, con l’antica ma sempre valida tecnica della saldatura punto a punto, i 64 terminali dei potenziometri e dei jack di in e out.
E’ ormai passata la mezzanotte quando finalmente assembliamo le scatole e posizioniamo le manopole. Adesso i due mixer hanno un aspetto davvero interessante, come dire: anche l’occhio vuole la sua parte!
Ma a parte l’estetica è davvero entusiasmante sperimentare la ricchezza di possibilità sonore offerte da una macchina nel complesso così semplice. Incredibile la scelta dei percorsi che il suono può effettuare all’interno di questo schema circuitale. Risulta pressoché infinito il ragionamento rispetto a quello che si può collegare ai suoi otto jack di in/out, compiendo loop di ogni sorta. Effetti per chitarra, qualsiasi strumento che generi un suono o anche un semplicemente hum elettrico, piezo-drivers e piezo-disk, dei delay e magari un pedale equalizzatore per stabilizzare qualche frequenza. Tutto quello che può generare un suono od essere mandato in auto oscillazione, può essere sfruttato per produrre dei feedback e manipolarli successivamente nel mixer facendoli uscire e rientrare, consentendo dunque di giocare a piacimento con i Larsen. Questa modalità di utilizzo, basata sullo sfruttamento degli anelli di ritorno dei suoni, come già detto non è l’unica possibile: siamo di fronte ad uno strumento che serve a miscelare quattro diverse sorgenti sonore ed inviarle a quattro uscite diverse, dosando per ognuna una parte dei segnali di ingresso. E’ qui che le possibilità di utilizzo ricominciano ad espandersi. Come si dice in questi casi: il solo limite è l’immaginazione.
Alla fine della storia, Yellows ha implementato il MM4x4 nel suo già ben strutturato set di macchine analogiche e digitali, che dialogano tra loro in un anello infinito di segnali midi e audio. Il Matrix Mixer si è inserito perfettamente nel loro set mettendo in connessione le due anime del duo, che lo utilizza come piattaforma di scambio e collegamento reciproco: vero hub per inviare e ricevere segnali, mixarli, modificarli, rimandarli al mittente o di nuovo verso se stessi, generando così una texture di suoni che miscela field recordings e sonorità sintetiche, che prende forma nella matrice, e racconta a tratti la storia del duo.
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